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Sicurezza e informazione
1. Monza che cambia
Umberto De Pace


E' giusto chiedersi se, sul tema della sicurezza, gli organi di informazione, svolgano correttamente il loro compito, visto che più volte è stata ribadita l'importanza della percezione, che il comune cittadino ha sulla materia.
A differenza del direttore de il Cittadino – il quale affronta il tema nel suo editoriale dell'otto maggio, dichiarandosi quasi innocente – personalmente ritengo invece che gli organi di informazione abbiano, anche loro, una precisa responsabilità – in negativo – sul clima che si è creato, e si crea tuttora sul tema. Per non rimanere nel vago voglio portare ad esempio, proprio un articolo preso da il Cittadino, di qualche mese fa (11 ottobre 2007).

Il Cittadino
 
Monza Cronache
Ho tenuto, a suo tempo questo articolo, perché mi colpì particolarmente – in tempi non sospetti oserei dire – l'enfasi distorta che sottostava a quella che poteva essere, sì, una notizia, sicuramente non da prima pagina, ne degna di essere trattata in tal modo. Mi spiego.
Al di là del titolo allarmante (Bivacchi) in prima pagina, e di quello un po' derisorio (Hotel viale Europa) all'interno, dai quali traspare la presenza di chissà quali moltitudini di occupanti calati su Monza, il tutto nasce dalla presenza di due, ripeto due giovani, che “da qualche giorno dormono in una Passat, ferma da anni”.

Ora al di là del tono tra il serio e il faceto, con cui è stato scritto l'articolo, ciò che mi sono chiesto è come si possa, innanzitutto dedicare uno spazio così grande a un notizia tutto sommato marginale (due persone che dormono in una macchina), tra l'altro senza tener conto del fatto, che esponendo così nel dettaglio il luogo in cui i due trovavano ricovero, si poteva correre il rischio di renderli possibili bersaglio di qualche malintenzionato.

Ma soprattutto mi chiedo, come possa un giornalista, stare ad osservare di nascosto, i due giovani, sbirciando una volta allontanatisi, persino le loro cose all'interno dell'auto, senza tentare, di porre loro qualche domanda, di conoscere chi siano, che cosa facciano, da dove vengano.
In realtà, l'autore dell'articolo, si pone tali domande “Non è dato sapere la nazionalità di questi occupanti abusivi e nemmeno sapere se hanno un lavoro o meno, non si può dire con certezza se siano zingari o rom”, senza capire che è proprio il suo mestiere quello di trovare risposta, a tali domande e non quello – anche se va per la maggiore – di guardare dal buco della serratura, la realtà che ci circonda. Magari, informandosi/ci sul significato da dare alle parole zingari e rom.

Il Cittadino
Più di recente sempre il Cittadino – del 20/05/08 – affronta il tema della presenza di stranieri nel quartiere Cederna, rilevando le lamentele e preoccupazioni, degli abitanti autoctoni, senza riportare alcuna testimonianza dei suoi numerosi abitanti stranieri. Non che questi siano difficili da incontrare – siamo nel quartiere più multietnico della città – ma a quanto pare il giornale preferisce seguire l'onda lunga dei “luoghi comuni”, adagiandosi su di essi.
“Degrado e paura”, così il giornale intitola una serie di foto, che potrebbero essere prese in un qualsiasi altro luogo di Monza, riportando nella didascalia: “Prima, secondo i residenti c'era più spirito di appartenenza al rione. Ora, con il massiccio arrivo degli stranieri, si è persa l'identità e tanta gente ha cambiato casa e chi è restata ora ha anche paura”.

Luoghi comuni”, che fino a ieri, in questo quartiere, vedevano al centro delle accuse gli extra-nostrani: i meridionali. Non a caso Cederna, era definito il bronx cittadino, contendendosi il primato con San Rocco. “Luoghi comuni”, che basterebbe svelare, dando voce a tutti i cittadini del quartiere, senza differenze di nazionalità o credo, contribuendo a porre le basi per una conoscenza, un dialogo e una convivenza civile. “Luoghi comuni”, che per sfatare, basterebbe andare alla mattina davanti alla scuola elementare del quartiere, per vedere che quando a un nonno civico viene indirizzato un “vaffa…”, a pronunciarlo non è uno straniero, ma un autoctono. “Luoghi comuni”, fragili, di fronte alle ben più consistenti questioni, sociali, culturali, salariali, che si annidano dietro alle appariscenti “paure”.
Risultato: articoli che non saprei definire altrimenti che allarmistici, deputati nel loro piccolo ad aumentare l'insicurezza e la confusione, più che a fornire notizie. Purtroppo non sono gli unici, nel panorama dell'informazione monzese, ma particolarmente significativi, a mio avviso.
Da un parte, quindi, un giornalismo, che si limita a registrare in modo asettico, una situazione, un fatto, una testimonianza; dall'altra un giornalismo, possibile e auspicabile, che rileva, raccoglie informazioni, pone domande, scopre le contraddizioni, svela le parti nascoste del problema, svolge un'indagine. Non si accontenta di ciò che viene detto, ma ricerca soprattutto ciò che non viene detto e che si cela, molte volte, dietro l'evidenza.
Un giornalismo di tal fatta, svolgendo il suo dovere, ci aiuterebbe sicuramente ad essere più informati e meno manipolati, permettendoci di percepire l'insicurezza o la sicurezza con minore approssimazione.

Umberto De Pace


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Andrea Trentini
June 05, 2008 8:08 PM


leggo con piacere i vostri commenti (mi riferisco a "sicurezza e informazione-monza città che cambia" di Umberto de Pace) agli articoli apparsi sul Cittadino, il giornale per il quale scrivo: significa che c'è ancora qualcuno che ha voglia di discutere e pone alla pubblica attenzione il problema dell'informazione locale, settore sempre meno considerato.

Mi limito a parlare per l'articolo di cui sono responsabile: quello su cederna ("cederna, troppi stranieri: il quartiere cambia faccia").
Garantisco che non c'è nessun intento discriminatorio o, addirittura razzista, in quello che ho scritto. Girando per il quartiere (ho anche dei parenti che abitano proprio a pochi metri dalla chiesa di cederna) molte persone mi hanno posto la questione. Il dato di fatto, innegabile, è che negli ultimi anni qui si è verificata una massiccia immigrazione. Da quello che mi hanno detto (io non riporto mai opinioni personali) gli immigrati faticano ad integrarsi e nemmeno si può negare che il quartiere abbia cambiato faccia (molti figli degli abitanti storici quartiere se ne sono andati e molti stranieri sono arrivati, come a riempire i vuoti lasciati da chi se ne è andato).
In questi dati di fatto non ci vedo nulla di discriminatorio. Per le parole "ghetto" e "paura" che si leggono nell'articolo, che cosa posso dire? Se le persone interpellate si sentono di usare questi termini forse non dovrei riportarli per paura di apparire discriminatorio? Anche da esponenti del centrosinistra in circoscrizione due ho avuto delle critiche per questo articolo. "Non puoi scrivere queste cose!" mi hanno detto: io ho riportato le parole della gente del quartiere senza mai far trapelare la mia posizione o dare pareri personali, non mi pare che mi si possa criticare per questo.
Per quanto riguarda dare voce agli stranieri del quartiere, era già mia intenzione fare un articolo solo su di loro, ma come sapete (o potete immaginare) non è facile che siano disponibili a parlare. Questo certo non mi scoraggia, quando avrò raccolto le testimonianze sufficienti non mancherò di dare voce anche a loro.
Mi rendo conto che il punto di vista dell'articolo pubblicato sia parziale, ma quando mi occuperò delle voci degli stranieri avranno la possibilità di parlare liberamente, come hanno fatto gli abitanti del quartiere questa volta.
Non credo, comunque, che la questione non sia sentita a cederna, non credo nemmeno che sia pretestuosa e non rilevante: ho sentito un gran numero di persone che mi hanno esposto le stesse problematiche.

Ovviamente parlo solo per quello di cui sono personalmente responsabile.

Sperando di non essermi dilungato troppo nelle spiegazioni, saluto cortesemente e ringrazio per la possibilità di replica.

andrea trentini



Egregio signor Trentini,
la ringrazio per la sua lettera. Il confronto è in sé una ricchezza, che non può che portare beneficio al dibattito.
Come sicuramente avrà avuto modo di leggere sulle pagine del suo giornale – nella rubrica delle lettere – non sono il solo ad aver colto lo “stridore”, del suo articolo, con quella che è la realtà del quartiere, che frequento abitualmente, vivendo al confine.
Lei – come il suo direttore – portate a difesa il fatto di esservi limitati a riportare dei dati reali. Ci mancherebbe! Non ne avevo il minimo dubbio. Sono un vostro lettore – pur critico – da molti anni. Le questioni però sono altre.
I dati “reali”, che lei riporta nel suo articolo, travisano la “realtà”, nel momento in cui assurgono a titolo, per scelta sua o, più probabilmente, del suo direttore.
Troppi stranieri”, può essere un'affermazione di alcuni, ma sia nella forma (titolo), sia nella sostanza (troppi? rispetto a che cosa? e a chi?), assume una valenza che va oltre la semplice testimonianza.
Scegliendo per il sottotitolo, quale soggetto: “gli abitanti del rione”, si travisa la realtà, omettendo di precisare che si tratta – in realtà - di “alcuni” di loro. Inoltre, altri (oltre al sottoscritto che a Cederna ci manda la figlia a scuola) hanno un'opinione esattamente opposta!
Titolare Degrado e paura”, tre foto (raffiguranti marciapiedi sbrecciati e scritte sulle vetrine di un supermercato) che potrebbero rappresentare qualsiasi quartiere o rione di Monza, vuol dire amplificare una realtà di incuria delle cose comuni più ampia e complessa, di cui le testimonianze e le foto non rappresentano che un dettaglio. Creando, tra l'altro, nel gioco di titoli, sottotitoli e foto una connessione impropria fra stranieri, degrado e paura.
In breve, concordo con lei che un giornalista debba raccogliere testimonianze, riportandole fedelmente; altrettanto ritengo sia un dovere giornalistico, porre domande che permettano a noi lettori, di capire chi siano queste persone, cosa facciano nella loro vita, contestualizzandone la testimonianza.
La lettura, pur sempre approssimativa, della realtà da parte di ognuno di noi è filtrata innanzitutto dai propri schemi mentali e culturali. Un'inchiesta sulla realtà di vita all'interno di un gruppo umano, quale può essere un quartiere, è già segnata”, nel momento in cui suddivide la sua popolazione tra “abitanti” e “stranieri”. Così lei si esprime nella sua lettera.
Ancor prima di raccoglierne le testimonianze, la questione, quindi, è quella di riconoscere che tutti loro “abitano” nel quartiere, con pari doveri e diritti, con pari dignità. Sarebbe già un buon inizio.

Umberto De Pace



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  3 giugno 2008